Aggiornato al: 15.12.2021
ANTOLOGIA CRITICA
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Quello che sconcerta della pittura di Maria Luisa Casertano è la tenacia con la quale l'artista opera, da tempo, nell'intricata sfera delle relazioni tra colore e materia. È una passionale tensione ad animare il suo lavoro, a spingerla a curiosare con lo "sguardo" nei sottili giochi proposti dalle regole dei contrasti, ora stridenti tra colori puri quali il rosso, iI blu, ma anche il nero che esalta la luminosità dei tagli bianchi; ora attivati attraverso la declinazione dei toni che modellano lo spazio di immagini astratte, desunte dal ricco bacino dell'inconscio. Una passione esplosiva così come è nel carattere della Casertano; espansiva, ansiosa, negata ad ogni regola dell'apparenza, autentica. II racconto che ella fa della sua giornata di lavoro è un continuo rinvio a luoghi e situazioni, ad occasioni concesse dalla manipolazione dell'argilla che le ha fatto scoprire una nuova sensibilità per la materia. Così come l'amore per la narrativa l'ha spinta verso il racconto, la favola. Anche l'insistere su alcuni impianti, prediligendo una sorta di rotazione contrapposta delle linee di sviluppo, ha un suo riscontro nelle mani che accompagnano la parola, con una frenetica gestualità.
La pittura della Casertano è strutturata da tinte piatte che organizzano un movimento di energie, attivate da toni locali, senza ombre, posti tra loro come forze in opposizione ma tali da suggerire la luce. Cosa è questa luce se non il proprio spazio spirituale? Ed è qui che l'azione dell'artista si fa più intensa restringendo il campo, dando corpo e sostanza al colore che prende spessore, esce fuori dal piano. È quanto avviene negli ultimissimi lavori, in parte presentati nella personale tenutasi di recente a Sorrento. In questa occasione Arcangelo Izzo, nel testa introduttivo al catalogo, rivela giustamente, che "l'invisibile che si genera nel pensiero, va ad annidarsi nella possibile visibilità della forma, per cui l'intreccio-
confronto tra spazio e tempo produce l'inesauribile ritmica cromatica, la dilatazione e la concentrazione della materia...".
Una materia che è, come scrive l'artista in una breve nota poetica, "in un continuo divenire di realtà e memoria ‘trasformandosi e modellandosi nel tempo' agli eventi come lo spirito al fluire dei moti dell'essere". Un moto che è sincronico alla pulsione del tempo, a quanto ci circonda, alle insidie ma soprattutto all'irrequieta condizione che oggi attanaglia i giovani degli anni Sessanta.
Non v'e dubbio che la nostra generazione, in quanta coetaneo della Casertano, ha avuto ed ha tutt'oggi la fortuna di vivere una stagione di grandi fermenti, nei quali s'intrecciano speranze e delusioni a crescite "professionali", il più delle volte fatte lievitare su baratri di profonda tristezza esistenziale.
È l'ultima stagione di un secolo che, e l'artista ne è ben cosciente, volge alla fine ed ove le tensioni hanno impresso un'accelerazione a quel processo di perdita del centro, con la sconfessione di ogni egemonia ideologica. Bisogna convenire con quanto scrive, all'inizio del decennio Novanta, Dahrendorf: "senza equivoci il socialismo è morto e nessuna delle sue varianti può essere risuscitata in un mondo che si risveglia dal duplice incubo dello stalinismo e del breznevismo". L'utopia ha perso qualsiasi contorno: lo sguardo ha smesso di seguire il pendolarismo tra est ed ovest. Ai conflitti e alle tensioni tra ideologie si sostituiscono oggi quelle dei bisogni, trascinando in essi anche le energie che animano e sobillano il mondo dell'arte. L'artista varcherà questa soglia con lo sguardo libero da qualsiasi costrizione, con la coscienza sgombra dalle ideologie ma consumata e contorta dalla solitudine. C'e un futuro possibile per un presente considerato da molti incerto: un presente che, sul fronte dei bisogni delle grandi masse attratte dalla società occidentale del "benessere", fa registrare le onde delle fibrillazioni integraliste, nazionaliste e razziste. L'uomo del Terzo Millennio vive già nella paura di una nuova condizione coatta, un'atrofia che non è più generata dall'incubo atomico, bensì dal ritorno di spettri ed ombre del passato. È contro questa paura che si muove l'arte e Maria Luisa Casertano ne è consapevole, pur se cosciente dei limiti e delle possibilità di questa azione: sottrarsi al rischio non è nel suo carattere.
Massimo Bignardi
“Una Luce Filtra dalla Solitudine”
Mostra Personale Galleria San Fedele
Milano 1992
Le opere che Maria Luisa Casertano ha selezionato per la prima personale colpiscono subito l’occhio dell’osservatore attento per la vibrante poeticità dei toni e dei temi. Paesaggi con figure, e singoli paesaggi e singole figure, scintillano sulle tele in una corale accensione di rosa e di verdi, di grigi e di rossi, sapientemente orchestrati, che segnano,si direbbe, i tempi e passaggi d’una visione d’insieme di un mondo sorgente dal profondo, immerso in una atmosfera onirica-surreale. Pare che tali quadri siano stati evocati con una operazione magica e portati alla luce, come per essere studiati e scrutati nell’intimo dell’artista. Che si chiede, e ci fa chiedere, da quali remote regioni siano emersi e quali oscuri segreti nascondono i personaggi che li popolano, dietro l’enigmatica espressione dei volti pallidi e assorti. Immaginiamo che lo stupore della Casertano sia palese, di fronte a questi esseri sconosciuti, immobili nelle loro pose silenziose e come raccolti ad ascoltare intime vibrazioni e voci. S’indovina che sotto quel suo stupore serpeggia un senso di oscuro timore che preme, e che non può essere cancellato con un semplice atto della volontà. Anzi questo timore rischia di tramutarsi, se non si è già tramutato, in uno stato di ansia, quasi di sottile angoscia, che pervade tutto il suo essere pensante e sensibile, e che viene comunicato emotivamente allo spettatore. Tale stato d’animo sembrerebbe originato dalla consapevole impotenza, sia sul piano istintuale che su quello razionale, di decifrare la natura arcana di questi esseri apparsi sulla scena di un mondo sotterraneo visitato “mediaticamente” con coraggio e vivissimo desiderio di conoscenze. Tuttavia la Casertano, pur se ci lascia supporre che tutti i suoi tentativi d’indagine siano destinati frantumarsi come onde sulle mute scogliere della impenetrabilità di tali figure, ci fa provare allo stesso tempo la sensazione, che mai si dichiarerà completamente vinta nella lotta impegnata con sé medesima, per la conquista d’una verità che è esclusivamente sua, e che le restituisce l’equilibrio d’una serenità perduta. Ѐ lecito ipotizzare che tale ricerca all’interno dei sé abbia avuto inizio, dopo un periodo di smarrimento e di intenso dolore,in cui perfino il senso di una colpa o di un fallimento sia stato traumaticamente avvertito. Ma al di là di tutte quelle motivazioni psicologiche, che pur fanno scattare la molla, se così si può dire, d’una personale creatività, l’artista è persuasa che solo cercando nella profondità del sé e del sogno, si possono trovare i mezzi, le chiavi per aprire le porte del mistero. Del mistero dell’essere d’ogni trauma e turbamento; d’ogni timore e tremore. Ѐ ormai sicura che negli strati profondi dell’inconscio esistono elementi di verità necessari a ricomporre il mosaico infranto della realtà. Dall’unica realtà di vita, in cui una personalità può prendere coscienza di sé e possibilmente accettarsi. Ora Maria Luisa Casertano ha volto il suo talento in tale direzione, non può non emozionarci ed affascinarci, quando crea, nel distacco, paesi di favola sospesi sui picchi di luminose montagne, o creature femminili in primo piano, sullo sfondo di paesaggi,ora surreali ora idilliaci, popolati di meravigliose farfalle, fiori, grotte, acque, occhi spianti, squarci lontani di tramonti d’oro e rosa. Stupenda quella immagine di donna, dal volto apparentemente coperto da una maschera di ghiaccio, che ci fa pensare ad una maga o ad una sacerdotessa, ritratta, quasi fotografata, si direbbe, nel momento in cui si accinge a ricevere qualche segno o a compiere qualche misterioso rito. Oppure quell’altra di una giovane donna bionda, lo sguardo volto in basso, colta in un pudico atteggiamento di interiore contemplazione. Qui, come in altri dipinti, la poesia è viva e palpitante, colma di forti suggestioni e implicazioni. Ѐ il segno d’una conquista e d’un approdo, d’una giustificazione forse finale, per cui vale la pena soffrire e lottare.
Giuseppe Bilotta 1980
Nell’arte di Maria Luisa Casertano esplode un’esuberanza cromatica che rende il visto ed il sentito con canoni e spessori particolari, cosicché la pienezza rappresentativa varia dall’immagine al concetto senza perdere l’emozione poetica: la forza da cui nasce la visione è talmente immediata e vitale da custodire intatta la potenza della comunicazione.
La matrice figurativa, accesa da possenti emozioni, particolarmente drammatica quando si concentra sull’indagine intimistica, ricca della più segreta sospensione, evolvendosi nell’astrazione e nell’aura concettuale, nulla ha perduto di quell’energia che si espande nei segni e negli spazi con le luminosità cromatiche balenanti dai ricordi e dalle situazioni sociali.
Anzi è proprio questa maggiore libertà espressiva a rendere l’azione in un rapporto ancora più oggettivo: è il colore che fissa la coscienza dell’analisi e rivela, generosamente, il flusso continuo delle immagini e degli eventi con tutta quella intensità lirica che non sottovaluta la poetata del dramma, ma non rinuncia mai alla luce della speranza.
Quella della Casertano è una pittura che non perde neppure i rapporti con l’elemento favolistico e con i mormorii musicali di un’infanzia vissuta anch’essa con una impetuosa e affascinata vocazione alla vita.
Questa giovane artista si illumina in un ottimismo emotivo che ha il coraggio di non confondere la delusa esperienza personale con la bellezza della vita, la quale resta sublime per chi ha la ventura di godere i doni sovrabbondanti.
La stessa natura assume un ruolo di insostituibile consolatrice scoperta nella pienezza delle stagioni, nel tripudio d’una festa di fiori, nella ricchezza di quelle infinità che si respirano e si tramutano in valori.
Questi momenti ineffabili, portati sulla tela e sul foglio, palpitano in sintonia con la pienezza universale percepita nell’astrazione dalla forma.
E tanto più è primitivo ed essenziale il contenuto pittorico, quanto più aleggia indifferenziato e non si precisa a livello simbolico.
La libertà di certi disegni e di certe tecniche miste vibra in una musicalità creativa che assurge a vero e proprio rito vitale.
Maria Luisa Casertano ama gli spazi luminosi, i tagli decisi, i narrati metafisici, ma quando si allontana dai residui della figurazione trova, anche nel breve tratto cromatico, delle iridescenze plastiche che rendono il senso originale delle vastità fulgide di luci.
Le idee ricorrenti sono quelle che rimandano a vasti cieli, a spazi di verdi inaccessibili, alla musica dell’aria, all’ideale d’una flora che si fa umanità nell’identificazione e si perpetua nella coscienza delle esistenze individuali.
Le barriere solide e tragiche contro le quali si frangono sogni e desideri esistono palesi, ma l’artista preferisce che il suo rapporto con il dolore sia intimo e segreto. Perciò lascia al senso dell’isolato e del frammento il momento meditativo: non suggerisce né determina, perché gioia e contemplazione possano, nella loro consistenza come nel loro opposto, farsi categoria di conoscenza distaccata e superiora.
Con la sua sensibilità cromatica, con l’astrazione che respira in consistenti bagliori, con l’armonia conquistata con gli strumenti di fare pittura, Maria Luisa Casertano oggi dice in smagliante schiettezza.
Domani la sua stessa serenità le potrà aprire le difficili vie del concetto, anche con nuovi tramiti figurali. Ma quali saranno le future soluzioni, le sue opere palpiteranno sempre di un forte sentire di quell’istinto pittorico che si porta dentro come una impronta naturale che non si può né acquisire con l’esercizio, né con la nozione trasmessa.
Angelo Calabrese
IX Expò Arte - Bari 1983
Le opere di Maria Luisa Casertano si impongono al reale con tutta la loro straordinaria evidenza. Le masse di colore che liberano o si proiettano nello spazio non sono solamente linee di forza o materia alla deriva, ma essenza di una dimensione preconizzata. A volte il loro impatto provoca una compenetrazione memoriale che restituisce allo spazio circostante il
magma della consapevolezza. Si vive nelle tele dell’Artista napoletana un infinito vagare della coscienza,con guizzi emozionali di lucida intensità. Proprio in “Forma in movimento” assistiamo ad uno slancio di emozionalità nello spazio, con una connotazione temporale falsata dall’indagine introspettiva.Il lavoro della Casertano ha una forte connotazione emotiva che accentua il pathos narrativo, cui si aggiunge l’ulteriore tensione dell’apparente serenità spaziale (specialmente i “Movimenti bloccati”) che arresta l’indagine nell’impotente osservazione di ciò che si sta compiendo.
Claudio Caserta
“La Memoria in Movimento”
Mostra Personale Sala d’Arte e Convegni del Palazzo Arcivescovile
Cava de’ Tirreni (SA) 1992
I dipinti di Maria Luisa Casertano si presentano sotto il segno di una straordinaria felicità espressiva, con una evidenza visiva provocata soprattutto dalla vibrante e gioiosa pienezza del colore. Ma questa pittura, neppure sfiorata dal pericolo di fastidiosi intellettualismi, non nasce affatto da un atteggiamento di ingenua spontaneità, indifferente alle tensioni che possono insorgere nella coscienza, tra i poli d’una situazione alternativa.
Affermare, infatti, che la Casertano non è certo di quegli artisti che credono di poter trovare la soluzione dei loro problemi nello spazio delle parole o nell'eco delle riflessioni ad alta voce, non vuol dire ignorare che proprio quella sensazione di limpida vitalità espressa che proviene dalle sue opere è, almeno in parte, garantita dalla presenza di una coscienza critica, riconoscibile, se non da altro, dalla funzione di filtro e di guida esercitata su una vena immaginativa indubbiamente di notevole impeto.
Del resto, se la coscienza critica non è, come credo, il luogo di un'intelligenza separata dai problemi vivi dell'arte o di una ricognizione postuma condotta sul corpo esanime dell'opera, ma è consapevolezza interna all' esercizio stesso dell'arte, non c'e da meravigliarsi se nel percorso pittorico Maria Luisa Casertano, così naturale e facile all'apparenza, si possono cogliere alcuni momenti cruciali, nei quali l'artista ha saputo imprimere alla sua ricerca una decisiva correzione di rotta.
Cosi è accaduto, ad esempio, quando, alcuni anni fa, la Casertano ha liberato dall'involucro d'una figurazione di impianto ancora tradizionale un colore già esaltato da forti accensioni timbriche. Dalla fiammeggiante energia che da allora è divampata nei dipinti di questa artista, alimentata forse dalla conoscenza della pittura dei Fauves, è scaturita dopo che bruciarono gli ultimi resti dell'impalcatura prospettica, una forma mobilissima, coincidente con l'andamento di una materia pittorica che attraversa la superficie del quadro dilatandosi in numerose e leggere falde di colore.
Maria Luisa Casertano è approdata, dunque, da alcuni anni sui territori dell'arte astratta. Ma, in realtà, questo della giovane pittrice napoletana è quanto di più lontano si possa immaginare dal mondo fondato sui principi della geometria o sul primato di ogni altra ordinata forma simbolica. Col superamento dell'ovvietà iconica della sua prima fase figurativa, la pittura della Casertano s’è venuta via via sviluppando in una diversa dimensione di referenzialità espressiva, creando immagini che non fanno certo specchio alle cose del mondo esterno né pretendono di stabilire rapporti privilegiati con l'essenza della realtà, ma che possiedono tuttavia una profonda risonanza fenomenica e un ampio alone di sensi.
L'impatto percettivo provocato dai dipinti della Casertano, con le evidenti conseguenze di rapida propagazione interiore, di sussulto emotivo quasi, può far pensare legittimamente alla cultura dell'Einfühlung che fu alla base dell'espressionismo e della poetica astratta di Kandinsky; ma questi dipinti hanno certo ben altra prossimità e consonanza di accenti con la poetica informale della materia e del gesto. Le immagini della Casertano si direbbero direttamente suscitate dalI'energia del ductus, da una spinta, anzi, non impressa dall'esterno, ma proveniente dall'interno del colore, dal suo avanzare, sul piano del quadro, come animato da una sua propria vitalità.
Tutte le opere di questa artista sembrano volere esaltare l’imminenza fenomenica dell' immagine, il suo precipitare, sulla scia appunto dell'informale, verso l'urgenza del presente, dove l'arte tende a respingere al massimo la sua divaricazione dall'esistenza accogliendo da questa i connotati di autenticità precategoriale, ma anche di indeterminatezza e di ambiguità di senso. E proprio con un leggero e rischioso spostamento sul versante onirico di questa ambiguità, la pittura della Casertano ha mostrato per un tempo brevissimo una tangenza con il surrealismo, nell'accentuarsi dell'incedere divagante e flessuoso del colore, nel moltiplicarsi delle sfumature e delle dissolvenze, che sembravano preludere ad atmosfere nebbiose ed evocare i fantasmi di forme sognate o intraviste sulla soglia dell'allucinazione.
Ma appunto nella reazione al pericolo di una declinazione letteraria dell'immagine, nel pronto rifiuto di un eccessivo addolcimento della vena pittorica s'e avuta un'altra e recentissima conferma delle notevoli capacità critiche di questa artista. Con una rinvigorita, esaltante ripresa delle sue qualità più luminose ed infocate, il colore ha concentrato la spinta dinamica su un unico percorso diagonale, toccando, in alcune tele di grande formato, accenti di vivida, incandescente spettacolarità.
Le ultime opere, vissute nello studio, ancora quasi sul cavalletto della pittrice, indicano un ulteriore processo di definizione della forma. Questa appare organizzata in più salde connessoni di piani, avendo eliminato del tutto quel tanto di fluidamente metamorfico che ancora vi si poteva avvertire. II colore ha mantenuto la sua vibrante qualità timbrica, ma nello stesso tempo ha rinunciato a quelle movenze sinuose e avvolgenti, per puntare su rapide traiettorie e procedere entro superfici dai profili netti e regolari. Queste superfici, però, non sono bloccate da una ricerca di rigida stereometria; anzi, si direbbero spesso sventagliate nello spazio, dove, con la loro incalzante successione in profondità, aprono la visione di nuove e luminose lontananze.
Nel momento in cui la pittura di Maria Luisa Casertano sembra decisamente avviata verso una fase di rinnovamento, essa rivela chiaramente la presenza di una sua inalterata condizione di fondo: la quale consiste essenzialmente nel sentire la superficie del quadro come uno schermo trasparente, su cui lo spazio è suscitato non per emergenze plastiche o per opachi spessori di materia cromatica, ma in virtù della totale permeabilità di quello schermo e perciò, della possibilità di attraversamento luminoso del colore stesso. Dalla costanza di questa concezione dello spazio pittorico, quale luogo in cui la luce penetra e respira liberamente, deriva la caratteristica di una forma eccezionalmente limpida e diafana, rimasta intatta pur nel mobilissimo variare delle sue configurazioni.
Vitaliano Corbi
L'incandescente spettacolarità
Mostra Personale Casina Pompeiana
Napoli 1986
Non senza raffinatezza cromatica negli impasti e gli accostamenti, la nuova pittura di Maria Luisa Casertano è massimamente costituita di grovigli dinamici, contrasti, incursioni, percorsi e ritmi aggiranti di campiture e segni, che si contendono aggressivamente lo spazio della tela. Tutto si compone e si scompone, si muove, si sposta, si contraddice in un movimento a volte vertiginoso, aspro e concitato, a volte lento e drammaticamente inesorabile.
In alcune opere il principio è l’impulso, e tutto il resto è conseguente alle sue pressioni: l’esecuzione si fa più irruenta e l’artista accentua l’accelerazione del polso e l’importanza operativa del gesto, esibita con la rapidità della trascrizione senza ritocchi e aggiustamenti, con arresti e slanci pittorici che consegnano alla tela annotazioni senza indugi.
In altre, la materia pittorica – a voler continuare a sottolineare le variazioni della temperatura d’immagine - accentua la sua pressione generativa sulla forma plastica, ritraendosi o emergendo e così determinando la concretezza plastica dell’immagine, tra scuotimenti di grandi masse di colore rese con drammatica evidenza, che devastano la superficie già agitata da improvvisi attraversamenti, da rapidi trapassi, da laceramenti, trafitture e folgorazioni segniche che registrano le oscillazioni e i tracciati dell’emozione.
Quando le giunture compositive si storcono e appaiono sul punto di scardinarsi, si pensa allora al rito regressivo della
discesa e dell’inabissamento, e al timore dell’inghiottimento e della caduta.
Tra le apparizioni, anzi le emergenze e le improvvise germinazioni di forme insolite, irriconoscibili e fluide, tra l’insorgere e il brulicare di visioni organiche di una dimensione iperreale e fantastica, non mancano pause e intere composizioni di una estrema felicità del colore, che si assume la responsabilità maggiore della riuscita dell’opera.
Del resto proprio il colore è probabilmente la dote principale di Maria Luisa Casertano, la freccia più sicura al suo arco.
In questi casi è più facile rinvenire polifonici accordi e completamenti tra strati sinuosi ed elastici, con alternanze, stemperamenti e brusche tenerezze di toni chiari e acuti, trasalimenti bagliori e accensioni di rossi e gialli, fiammei e mediterranei, tra trame di luce e policrome, surriscaldate provocazioni dell’iride. In corrispondenza di queste sollecitazioni del registro tonale il segno è più netto e fuggevole, esplode come un ordigno nel vuoto, e massima è la luminosità, la brillantezza degli accostamenti timbrici.
Ma a Maria Luisa Casertano, più che le costanti cromatiche, interessano le variazioni gli accostamenti e le relazioni di contiguità: così quando passa a registri freddi, il colore si illividisce, inacidisce e trasfigura, e vane sfumature di blu e azzurri sono protagoniste, su fondi chiari ma opachi e ghiacciati, di altre opere in cui esse determinano i volumi di forme fantastiche e ostili e variamente dislocate, mosse da guizzi di ombre e velature e dagli impeti, le asprezze di una pennellata nervosa ma ancora ampia e sicura.
Ancora maggiore tensione e intensità espressiva hanno le opere che sembrano descrivere, con le modulazioni di una griglia di smorzate e soffocanti tonalità e lo scioglimento di una luce diafana e lievitarne l’incertezza ascensionale e il propagarsi di una nebbia, materica, di sostanze aeree e gassose, scorci di deturpamento e trasfigurazione della materia, nel cui caos l’io individuale è sempre sul punto di perdersi.
Siamo di fronte, anzi dentro un universo possibile-visto che l’atto di portare il colore sulla tela corrisponde all’esplicitazione di una visione del mondo - implacabilmente prospettato da un appassionato esercizio della pittura,
la cui inquietudine, più che con espressionistica violenza, è resa con i poteri e le suggestioni dell’aniconismo, con il dinamismo delle stesure e la scelta del ritmo di forme e colori.
In questa pittura dell’ansia e della fragilità del soggetto, pervasa da oscuri timori, non è possibile rinvenire niente di estroso e intemperante o di freneticamente proposto, la forma non compare che come tensione e torsione, e tra l’ombra più scura e la luce più intensa di un regime diurno e a volte solare si intravede tutto un gioco di crinali, estensioni, strisce e bave cromatiche, coaguli, ispessimenti, sature, profilature ed evaporazioni di contorni, rivoli di linfa e grinze organiche, impennate filiformi che fissano, secondo il dettato di spinte e contro impulsi emotivi, momenti e situazioni ed equilibri precari provvisori, di per sé esemplari dell’occasionale variabilità e della costitutiva ambiguità dell’essere e del divenire delle cose.
Maria Luisa casertano dipinge sempre le immagini percettive al di là di ogni a priori mimetico, rifiutando elementi o pretesti iconici, è sempre il dato organico, senza condizionamenti naturalistici, che detta le immagini più violente, attribuisce peso e leggerezza alle forme, offre modelli del ripido e del rotondo, il vigore dei volumi e i ritmi dei particolari.
Questa pittura si esplica dunque in configurazioni che non rivelano relazione alcuna con quanto attualmente cade sotto il dominio del nostro sguardo, e può essere perciò considerata come una consapevole operazione tesa a rendere irriconoscibili i dati di quanto le possa preesistere, a dissociare, a scavare un solco tra la realtà e il simbolo.
Solo in rarissimi casi, visto che il polo informale è di gran lunga dominante, il suggerimento e l’evocazione al limite tra il conscio e l’inconscio ci lasciano indecisi tra la costatazione di un fenomeno d’astrazione e la disponibilità ad accettare un (fino a che punto probabile?) invito a riconoscere tra qualche forma, animale, vegetale o paesaggistica che sia.
Affidandosi agli scatenamenti della propria pulsione psicologica, l’artista vuole coinvolgere il fruitore di un mondo “inventato”,in spazi che siano recepiti dalla nostra fantasia e rivissuti non per la loro comprensione obbiettiva, ma in quanto capaci di stimolare la possibilità dell’immaginazione, attraverso la complessità e la parziale traducibilità dei rapporti tra realtà e interiorità.
Come è stato scritto a proposito dell’opera di un artista cui sono forse attribuiti alcuni elementi comuni con quelli di Maria Luisa Casertano, in questi casi “si sente il soggetto che modella con il pennello il respiro affannoso della metamorfosi, lavorando a una forma di dilatazione immaginativa che è prerogativa… di un diverso anelito all’inesprimibile.”.
Matteo D’Ambrosio
“Un Universo Possibile”
Mostra Personale Casina Pompeiana
Napoli 1987
Da “Flusso continuo” del 1978 a “ Trasformazione” del 2012. Sono trenta opere, tra oli, tecniche miste e acrilici su tela, cartoni o cartoncini, che Maria Luisa Casertano espone a Castel dell ‘ Ovo nella Sala delle Terrazze, sotto il titolo “La poetica dei sogni”. Lavori che conquistano l’ occhio del visitatore per la raffinata verve dei colori e l’energia del gesto pittorico che sempre le pervade. A cura di Gilda Luongo, la mostra riunisce un ampio corpus di opere che illustrano il trentennale percorso artistico della pittrice napoletana che con le sue composizioni espressioniste astratte va diritta al cuore dei suoi interlocutori, donando loro l’occasione di un viaggio dell’anima. Con in linguaggio assolutamente privo di immagini ma tutto fondato sulle luce dei pigmenti e sulla forza del segno. Maria Luisa Casertano racconta storie e vicende modulando masse e coaguli materici di grande lirismo che come nuvole esuberanti, ora nei toni del verde e del blu, ora del rosso, dei gialli e dell’intero arcobaleno, in nuances che cambiano secondo l’umore e lo stato del momento, attraverso lo sguardo dell’osservatore aprendogli con garbo nuovi orizzonti della mente, sentimenti bui o soavi, in ogni caso commoventi con un intento che ella stessa spiega “Il mio è un viaggio dalla superficie delle cose al loro profondo - rivela l’artista- dove il cuore dà i suoi impulsi in un abbandono completo senza intervento della ragione, così che il tesoro dell’emozioni interiori si possa schiudere libero all’incontro con gli eventi”.A completamento della mostra, un elegante catalogo nel quale a raccontare le metafore della Casertano, oltre le immagini, sono i testi di Giorgio di Genova, Rosario Pinto e Gilda Luongo.
Paola De Ciuceis
Da il Mattino 18-Settembre 2012
La Pittura racconta la poetica dei sogni
I linguaggi della pittura sono molteplici. E sempre lo sono stati, anche se mai come oggigiorno. Se nel Quattrocento e Cinquecento la pittura toscana, per le sue connotazioni più disegnative e plastiche, si distingueva dalla pittura veneziana più propensa al colorismo, nei secoli successivi altre koinè hanno connotato i periodi storici: il Barocco nel Seicento, il Rococò e poi il Neoclassicismo nel Settecento, mentre nell’Ottocento si sono susseguiti, talvolta coesistendo, Romanticismo, Verismo, Realismo, Pittura storica, Purismo, Impressionismo, Neoimpressionismo, Simbolismo, Divisionismo, per non citare i Nazareni ed i Preraffaelliti, che hanno ulteriormente diramato le soluzioni linguistiche e stilistiche, preparando la strada alle grandi rivoluzioni espressive delle avanguardie del ‘900, che hanno determinato quella frantumazione del linguaggio pittorico (e non solo) tuttora imperante. La grande libertà espressiva, oltreché tecnica odierna, ha determinato una incessante proliferazione di esiti pittorici, quali le diverse soluzioni iconiche ed aniconiche, nonché meticciate, riguardanti sia le avanguardie che le neoavanguardie, tuttora in atto. Ciascuna di tali soluzioni, tuttavia, viene declinata differentemente dai singoli artisti in relazione al proprio temperamento, che grosso modo può essere distinto in temperamento grafico e temperamento cromatico, o tout court pittorico1. Al secondo versante appartiene Maria Luisa Casertano, la quale, essendo nipote di un pittore, ha la pittura nelle vene, come i suoi fratelli. Infatti il nonno materno Gerolamo Graffigna era un pittore ligure, il quale già nel 1892, poco più che ventenne, esponeva all’Esposizione Italo-Americana, organizzata per celebrare il IV Centenario Colombiano2. Tuttavia Maria Luisa, proprio per il suo temperamento pittorico, si differenza del fratello Gerolamo, che è di temperamento grafico. Ambedue usano lessici aniconici, anzi si potrebbe asserire che i loro modi espressivi costituiscono le facce della medesima medaglia, solo che si tratta di stabilire quale sia il rovescio, se la pittura di razionale impianto geometrico del fratello, che dal nonno ha ereditato il nome, o quella di spontanea declinazione di Maria Luisa, che nel 1992 ha spinto Tommaso Trini a scrivere che ella “dipinge come se fosse al primo giorno dell’astrazione”. Comunque, nonostante i differenti retroterra - kandinskiani (e non solo) di Gerolamo3, informali e materici di Maria Luisa -, ambedue si somigliano nella concezione delle superfici come spazi da movimentare, per quanto riguarda il primo, con le briose forme, più definite e levitanti orchestrate assieme a motivi grafici, e per quanto riguarda la seconda, con le composizioni a zone cromatiche giustapposte in incastri e sovrapposizioni in un costante all over. Con Maria Luisa Casertano non siamo più in Flatlandia, bensì nelle atmosfere emotive rese come flussi cromatici in incessanti trasformazioni, ora memori di onde marine (Forme in movimento n. 1, 1985, più che i movimentati azzurri dei precedenti Tutto scorre, 1980, Flusso continuo n. 3 e Flusso continuo n. 4, 1983), ora di folate di vento (Forme in movimento n. 3, 1985), ora di colate laviche (Forme nel tempo, 1984), ora di fumi (Forme in movimento n. 4, 1985), ora di zolle di terra (Respiro di terra, 2004), ora di nubi (Echi lontani, 2012), ora di spremiture paesistiche (Forme in movimento n. 2, 1985; Percorsi n. 2, 2012), con alternanze di espressionismo (Forme nel tempo n. 1, Forme nel tempo 2, 1984: Forme in movimento n. 3, 1985) e di lirismo (Musica dell’universo, 2008; Ritmi, 2009), ma sempre nell’ambito di un’ottica tendente a cogliere il movimento, tanto che la produzione pittorica della Casertano dagli anni Ottanta si fa sempre più metafora della vita, o meglio del fluire degli instabili ritmi vitali restituiti attraverso i colori affidati alla convivenza di morfemi, ovvero ai diversi aspetti dei loro rapporti determinati dalle loro modificazioni e giustapposizioni, rapporti sempre “nati con spontaneità”, se mi è consentito rubare alcune parole a sue annotazioni, nelle quali ella giunge addirittura a sollecitare se stessa a sgranare “bene gli occhi del cuore” per meglio sentire, ovvero cogliere “i palpiti di vita” e squarciare così i “veli che avvolgono la spontaneità del sentire”. La pittura per la Casertano è come il respiro. Anzi con lei i colori (per lei “veli” che disvelano l’intimo sentire) respirano. E, come avviene nell’esistenza quotidiana, i ritmi del respiro variano a seconda del momento, passando da quelli regolari a quelli affannati, da quelli brevi a quelli profondi, o densi, non senza pause di rilassato riposo, com’è avviene nel 1986 con Movimenti bloccati n. 1 e Movimenti bloccati n. 2, lavori nei quali il rimosso geometrico, pur restando qui a metà strada, torna ad accampare i suoi diritti con irrisolte allusioni architetturali, come, del resto, nei suoi piatti di ceramica, eccetto che per uno in cui con l’orchestrazione degli elementi azzurri raggiunge una composizione di grande limpidezza geometrica. Naturalmente ciò, oltre che sull’assetto cromatico, si ripercuote sul trattamento delle stesure e sulla modulazione delle morfologie. E, se ad esempio, in Musica dell’universo del 2008 le morfologie, galleggianti in quella sorta di “brodo” che è lo spazio chiaro, sembrano disfarsi, in Deflagrazione n. 1 del 2010 esse si coagulano in zone ben definite, in cui l’evidenza visiva viene corroborata dalle hautes pâtes materiche, che nel coevo succedaneo Deflagrazione n. 2 prendono il sopravvento, accentuando la sostanzialità della frantumazione dei contrasti dinamici. Da autodidatta Maria Luisa, allorché ha abbandonato la pittura iconica, che evidentemente
non soddisfaceva il suo bisogno di esprimersi in totale libertà per restituire i mobilissimi “palpiti di vita” attraverso il colore, ha dovuto registrare il suo sentire per sintonizzarlo sulle onde del proprio immaginario cromatico, senza alcun condizionamento visivo relazionato con la realtà esterna, né ad essa riconducibile. Infatti tutta la pittura della Casertano da quel momento ha cominciato a fare i conti con la propria realtà interiore, senza debiti nei confronti della verosimiglianza. Certo qua e là permangono memorie di visioni del mare o di eruzioni del Vesuvio e, talvolta, all’interno degli automatismi esecutivi più che espressivi involontariamente affiora qualche eco della realtà esterna, com’è, tanto per fare un esempio, nell’olio su cartoncino Flusso continuo n. 2 del 1980, in cui, volendo, in alto a sinistra emerge come un profilo di testa ed un accenno a una figura panciuta, quasi a far da contraltare all’inclinata configurazione para-antromorfa, tracciata da fluenti sinuosità in azzurro nel lato opposto. Di questi primi passi verso l’aniconico ritengo davvero significativa in direzione araldica l’opera Flusso continuo n. 1 del 1978. Qui mi sembra evidente l’esplosiva esuberanza nel cui gestualismo convivono segnismo e zonature in azzurro e rosso sovrastanti i tentativi di guadagnarsi spazi da parte del nero. Con Flusso continuo n. 1 Maria Luisa dichiara apertamente la sua personale predilezione per il lessico informale, i cui strumenti ella declina, rivedendo e correggendo la poetica del frammento tipica dell’art autre, virandola verso una sorta di “cubismo” cromatico, ossia riservato ai soli colori ed alla specifica essenza di essi, che sono per l’immaginario della Casertano “materia” vivente, come ella stessa ribadisce negli anni Novanta proprio con talune opere, per così dire, cromo-cubiste. E mi riferisco a Materia che vive e si trasforma n. 2 del 1991, Materia che vive e si trasforma n. 3 del 1995 e Materia n. 4 del 1997. Del resto, l’identificazione di materia e colore è un leit-motiv della produzione della Casertano, la quale infatti, come già notato, ama talora dare spessore materico alla sua pittura, tanto che potremmo dire che, se di essa il colore è la pelle, il corpo è appunto la materia, appunto palpitante. E di tale assunto ella ha esplorato i percorsi in vari modi e in diversi tempi, giungendo al diapason della sua verifica nel 2011 con Percorsi n. 3. E credo che anche i suoi sapidi piatti in ceramica derivino da questa predilezione per la materia (e stavo per scrivere: per la terra, matrice di ogni colore). Attraverso l’appropriazione di tali percorsi di colore-materia Maria Luisa Casertano è giunta ad una grande sintonia con suo io interiore, riuscendo a padroneggiare gli strumenti del suo neoinformale in felici amalgami di lirismo ed espressionismo, di sensibilità e libero fantasticare cromatico, fino a ottenere, come riuscì a Turner nelle opere della sua produzione estrema, una sorta di sublimazione del personale visionarismo, che raggiunge un vertice in un dipinto difficile da mantenere sui registri giusti per il suo grande formato, qual è Trasformazione del 2012. Senza dubbio, a tutt’oggi, il suo capolavoro, che forse contiene spazialmente qualche riverbero dell’affresco dipinto a Cornigliano Ligure dal nonno Gerolamo nel soffitto centrale della Chiesa del Collegio Calasanzio.
Giorgio Di Genova
LE METAFORE CROMATICHE DI MARIA LUISA CASERTANO
Un intenso rimovimento di richiami all’informale al suo incondizionato liberare i dati di suscitazione e stesura sul campo della tela, caratterizza il delinearsi di alcune esperienze attuali di pittura a Napoli come in più ampi orizzonti di arte contemporanea. Sono suscitazioni e riattingimenti coinvolgenti singole esperienze di accesso a fare pittura, di intraprese mutazioni del proprio decidersi a un decorso ormai storico di linguaggio, oppure di riformulazioni dall’interno di personali trascorse esperienze, quali per dire, in senso emblematico in ambito napoletano, di un Barisani, un Di Ruggiero.
Il darsi corrente e generalizzato di richiami alla poetica informale segna certo una temperie di sensibilità, un sopravvenuto e riaffiorante volgersi emotivo e di modalità del fare pittura, rispetto alle tendenzionalità degli anni Settanta di poetiche espressive accumunatesi intemperie mentali, distanzianti nella elaborazione di linguaggio. Ma il riscontro di ripresa della poetica informale segna pure, rispetto proprio alle trascorse cesure concettuali, una scelta di riappropriazione pittorica linguistica, di radicamento all’interno di una tradizione tra le più prossime delle poetiche astratte del nostro tempo. Ed è, tuttavia, ancora nel resoconto di questo riandare come a matrici di linguaggio, l’opportuna considerazione che non ci si trova dinanzi ad una mera riproposizione di poetica informale. Di come ossia una ormai storica e sedimentata poetica espressiva venga a costituirsi a nutrimento e motivazione, con ho detto non solo in aria napoletana, in quanto patrimonio acquisito cui rivolgersi nella consapevolezza della sua inequivocabile irreversibilità.
Anche se l’informale nella sua contingente manifestazione, nell’essersi declinata come poetica negli anni Cinquanta, e da noi con propagini tarde sino ai primi anni Sessanta, si raccoglie in un tragitto di storia irreversibile, si consegna pure alla memoria quale altri distinti momenti di poetica, alla memoria del fare arte, in quanta tradizione di accesso alla storia dell’arte contemporanea. Una memoria, una storia certo non remote, ma che si protendono potenzialmente e di fatto, sul presente attraverso accumunati contesti internazionali di cultura figurativa, di vicende personali, affondanti nel proprio bagaglio di esperienze trascorsi o di attuale riconsiderazione sul quel momento espressivo. Ma è pure memoria che sommuove patrimoni locali di elaborazione e rinverdimento mordenti nei propri trascorsi espressivi più vitali, per quanto è stato ulteriormente nell’arte contemporanea: come indubbiamente è avvenuta a Napoli, si può dire dal secondo dopoguerra ad oggi.
Alla pratica di questa memoria appartiene il lavoro di assunzione ed elaborazione poetica informale condotta in quest’ultimo anno dalla pittrice napoletana autodidatta Maria Luisa Casertano. Esperienza che si è venuta man mano affidandosi, con l’inoltrarsi viepiù nelle disponibilità di linguaggio informale quale volontà di ricerca ed identificazione sottesa dall’indole naturale di impulsività espressiva. Anche per queste personali corrispondenze all’esprimersi, va ormai considerato l’informale alla stregua di un topos, o se si vuole anche quale una categoria stilistica dei linguaggi visivi del nostro tempo. Quella di Maria Luisa Casertano è stata in questo senso esperienza autodidatta volta, sin dai suoi avvii figurativi, a un dettato pittorico dominato da suggerimenti fortemente emotivi, di tenore espressionistico, assecondato dal fluire di suggestioni e occasioni sensitive calate con immediatezza nell’impasto di colore e disegno. Come di un pulsare vitale di accensioni cromatiche trasferenti sulla tela il risentire e rivivere i dati della realtà circostante. Il tutto nel suo costituirsi e declinarsi nelle forme fluenti e pur costruite d’immagine quale il frutto di un darsi spontaneamente e con rinnovata meraviglia, se non proprio stupore, alla restituzione in pittura, di trame figurate in colore, di occasioni percepite o rimembrate nella realtà. In questo senso Giuseppe Bilotta nel presentare una sua mostra nel 1980 ha parlato dell’insorgere di fantasie inconsce e di uno “stupore” che l’artista sembra manifestare attraverso le sue ideazioni figurative. L’insorgenza di un dettato immediato, ma incanalato su trame di un linguaggio non certo ingenue, si riconosce lungo il percorso che la Casertano ha approfondito nei termini proprio del suo fare pittura. E’ un percorso, ossia riconoscibile sin dal suo avvio come rivolto alla suscitazione diretta del dato d’immagine, ma che va cercando e individuando il suo dato compositivo più adeguato.
Tale sondaggio e incamminarsi all’interno del proprio fare pittura è ben individuato anche da Maurizio Vitiello in un suo commento dell’opera dell’artista ancora nel 1980: “il colore esorbitante nella sua ricerca contenutistica, accende la tela. Lo spazio viene conquistato, progressivamente con la stesura di toni forti che si misurano in un equilibrio surreale. La ricca trama pittorica corrisponde all’esplosiva tensione intima della pittrice”. La riflessione e il ripiegare degli apporti d’immagine in un tessuto continuato di forma-colore, lungo profili marcati e smarginantisi nel collegarsi cromatico sul piano della tela, danno il senso del volgersi formale, di un tramutare il linguaggio aderente alle suscitazioni visive, all’affiorare impetuoso e incondizionato che d’ora in poi la Casertano farà come fondersi tra stesura e costruzione formale. Sarà questo infatti il nocciolo compositivo costante fino all’attuale produzione del tutto affidata all’idioma di poetica informale. Lavori come “Esplosioni solari”, “Voli spaziali” e “Fuga” del 1982 danno già l’orientamento di una scelta di una ricercata identità nell’assimilate immaginazione fluente e rappresentazione pittorica. “E proprio questa maggiore libertà espressiva, ha scritto per le opere di questo momento, Angelo Calabrese, a rendere l’azione in un rapporto ancora più oggettivo: è il colore che fissa la coscienza dell’analisi e rivela, generosamente, il flusso continuo delle immagini e degli eventi con tutta quella immensità lirica che non sottovaluta la portata del dramma, ma non rinuncia mai alla luce della speranza”.
Si dà leggibile, per densità e vividezza, nello scorrere sul piano dei movimenti formali, del loro intricarsi ed allargarsi nei margini e nel liberarsi e sovrapporsi fra di essi, il getto emotivo, di effusione gaia e di vibrazione vitale con cui la pittrice trascrive i propri stati d’animo. Non dico il senso intimistico ma di effusione, appunto, di espansività manifestatisi tramite le stesure, il piacere manuale della trasposizione sulla tela. Gioia ed ombre vissute, emotività ed abbandoni suggeriti dal dispigarsi di un pensiero che accompagna l’articolazione e l’infittirsi, ora cupo, ora lucente per colore. A questa sottesa ramificazione sensibile, al suo espandersi e diramarsi nel fluire pittorico, si intreccia tuttavia un nodo compositivo, come di scansione, di possibile e visibile dislocazione della forma nell’informe del dettato dominante.
Mi pare si dia proprio in questo fattore di composizione sottesa, ora soccombente ora convogliante la motilità gestuale, la stesura del colore, quanto caratterizza maggiormente il più recente lavoro della Casertano, e il modo stesso di rivivere il proprio richiamo alla poetica informale. Al susseguirsi dei motivi compositivi, al loro pieno riconoscersi in autonomia da ogni riporto di figurazione, si accompagna per l’artista la scelta di un comporre che aspira a catturare una possibile visibilità, o meglio, resa nel visibile, delle soglie collegantisi tra le strutture dello spazio e quelle del tempo “Forme nel tempo” si intitola il primo ciclo di lavori del 1984 e che imboccano pienamente il dettato sinora ricercato di adeguata trasposizione del fluire d’immagine in forma pittorica. La memoria richiamata dell’informale diventa l’approdo di un progetto di ricerca formale. Può essere un paradosso, ma in realtà non è che il riconoscimento di una propria scelta in rispondenza di linguaggio. Il ciclo “Forme nel tempo” trova pure una sua interna cadenza e messa appunto che si fa intendere nelle intitolazioni ulteriori dei quadri nel 1985 e 1986. “Forme in movimento” e “Movimenti bloccati”, sono appunto due sequenze di lavori ma che svolgono un comune tema di sondaggio e dialettica nel tessuto formale. Ha potuto di recente osservare Matteo D’Ambrosio a proposito di questo incedere compositivo dei suoi ultimi temi pittorici: Siamo di fronte, anzi dentro un universo possibile-visto che l’atto di portare il colore sulla tela corrisponde all’esplicitazione di una visione del mondo implacabile prospettato da un appassionato esercizio della pittura, la cui inquietudine, più che con espressionistica violenza, è resa con i poteri e le suggestioni dell’aniconismo, con il dinamismo delle stesure e la scelta del ritmo di forme e colori”. Da qui, come ha saputo rilevare D’Ambrosio, nella “scelta del ritmo orme e colori” la particolare assunzione che la pittrice mira a rivolgersi nei termini di riappropriazione della poetica informale. Imprimere alle movenze rapide, alle congiunzioni espanse di materia del colore, tipiche della pittura informale, una cadenza ritmica, una scansione che blocca la fluenza dei colori, costituisce la nota di elaborazione personale verso una poetica ormai storica per l’arte contemporanea.
“Forma in movimento” e “Forma in movimento n. 2” mostrano, nel loro rapido disporsi alla visione, come accensione di un veloce di un coagularsi e frantumarsi delle stesure e congiunzione di colore, dopo il ciclo precedente delle “Forme nel tempo”, fare emergere l’intento di scandire il fluire entro una griglia che frastaglia le masse coloriche. Una sorta di rete tensiva che sottende le collocazioni rapide del colore, che le enuclea in sedimenti raccolti e agenti con la pienezza delle loro strutture entro il tessuto fluente sulla tela. La forma sembra come farsi spazio nell’indistinto delle emotive trasposizioni cromatiche, delle sensibili proiezioni di luce e materia. Ma l’agire, il divenire stesso sulla superficie delle forme coloriche, non è che un tempo vissuto, un’azione da fare pittura, del collocare manuale il colore, il suo fluire sensitivo, sulla tela. La sua marcata e marcante pausazione diventa ancora più evidente nel gruppo di lavori che avviato nel 1985, come il precedente, giunse sino a quest’anno: “Movimenti bloccati”. La emergenza della griglia formale dapprima sottesa e ramificantisi nel frastagliare il profilo delle masse coloriche, ora è maggiormente netta, quasi opponendosi al contesto indistinto cui pure resta avvinta. Si vedano “Movimenti bloccati” n. 1, n. 2,e n .3, in ciascuno si leggerà evidente il costituirsi di campi racchiusi nel proprio tessuto di colore, ma pure nei propri confini formali, rispetto al muoversi espanso, fluente dell’intera compagine cromatica. Ne viene una sorta di dialettica interna, sottesa, direi tellurica, per il sedimento dei movimenti di colore volti a più direzione di campo sulla tela. Di qui una sorta di rappresentazione energetica, di raffigurazione di forze di movimento, ma come ruotanti e coagulantisi nello scambio ed equilibrio di spinte e tensioni placantisi sui campi di focalizzazione formale.
Il discorso pittorico resta naturalmente in divenire, ma credo sia questo un modo di accedere alla tradizione della pittura gestuale che scava dal suo interno i modi in cui il gesto, l’azione della proiezione possa far assurgere una sua possibile definizione formale. Il percorso della nostra pittrice trova così la sua stabile proprietà di linguaggio. Ne ha individuato questa chiara rispondenza nei modi di pittura astratta Ugo Piscopo nel presentala l’anno scorso allo Studio Ganzerli di Napoli: “E mentre attraverso la pittura, si viene districando dall’unidimensionalità e dalla serialità, attraverso la riappropriazione del gesto e del colore, Maria Luisa Casertano rivendica il diritto di un’identità che non le consentirebbe l’iconografia delle consuetudini quotidiane”.
Nel suo aprirsi sensibile al divenire delle proprie rappresentazioni, la nostra pittrice esercita pure una sua vigilanza costruttiva sull’esporsi indistinto dei movimenti cromatici. ”Movimenti bloccati” appaiono così la successione di questi momenti di riflessione, di vigilanza che raccoglie al proprio interno la possibile energetica composizione. Che sia la natura, nel suo vitale e sotterraneo pulsare, che sia il divenire stesso di un percepire che s’intersa alla memoria di visioni, di pensieri formulantisi nel gioco delle fantasie, che sia la manualità stessa che s’imprime sul piano della tela, nel suo muoversi ora ravvicinato ora espandentisi, come di automatismo inconsapevole, pure resta costante e riconoscibili il vettore dominante che la pittrice assegna a tali suggerimenti. Il vettore ossia della destinazione formale, di una sempre possibile insorgenza dell’indistinto vitale di un profilo che s’individua in una grammatica della visione, della stessa tradizione dell’arte.
Luigi Paolo Finizio
“Spazio e Tempo in Pittura”
Mostra Personale Casina Pompeiana
Napoli 1988
Nella produzione artistica di Maria Luisa Casertano è stato individuato, quasi unanimemente dalla critica più avvertita, un fluire, un pulsare vitale di accensioni cromatiche, inclini trasferire sulla tela i dati della realtà circostante e filtrati dalla vocazione alla meraviglia, se non proprio allo stupore, della memoria che cerca i segni della propria identità, mentre guarda stordita alle esperienze degli altri e alle maturazioni della materia.
Pertanto il gesto si fa materia e, di volta in volta, il colore diventa segno, mentre lo spazio pittorico viene conquistato progressivamente attraverso la partitura di toni forti che si misurano con le scansioni di forme surreali.
Così che, l’invisibile che si genera nel pensiero, va ad annidarsi nella possibile visibilità della forma, per cui l’intreccio-confronto tra spazio e tempo produce l’inesauribile ritmica cromatica, la dilatazione e la concentrazione della materia, ora manipolata con mano aptica, più veloce e felice del gesto, e secondo un pensiero tetico, ovvero più desideroso di pause ludiche.
L’artista stessa dice che ha fatto una nuova esperienza: lavorando la creta ha percepito particolari sensazioni, sentendosi più vicina alla realtà della materia che vive e si trasforma.
Ha trasferito, perciò, queste essenze della percezione sulla tela, alternando masse materiche, ricche di porosità, increspature e lacerazioni, a superfici lisce con velature e trasparenza che captano la luce.
Masse in continuo movimento attraverso spazi infiniti, oltre il tutto.
Questi elementi di poetica confermano le notevoli capacità critiche, che le sono state riconosciute, e ripropongono come centralità della ricerca di Maria Luisa Casertano le qualità luminose del colore, che accende scenari di “vivida spettacolarità” sulla tessitura della superficie del quadro sentito quale “schermo trasparente”. E, poiché continua a parlare di realtà dura, di sbarramenti che impediscono il viaggio dalla pelle delle cose al loro fondo, di blocchi che ostacolano il percorso della libertà e della creatività, Maria Luisa Casertano scopre la “favola” della pittura.
Infatti spingere la realtà “oltre il tutto”, al di là dei limiti dell’orizzonte e del visibile, vuol dire tornare ai margini della
“favola” senza l’abbandono o la disperazione che assegna al favoloso la significazione di sogno e di evasione, ma con la gaia scienza e co/scienza trattare un surplus, una realtà eccedente, di sentire e inseguire una forma superdotata, perché non c’è felicità senza il piacere dell’assurdo. Che è poi lo stesso piacere che ha presieduto alla nascita dell’umanità e presiede ai giochi dell’infanzia, nell’uno e nell’altro caso presenti nella Casertano come anelito all’immediatezza, all’innocenza, alla libertà, non priva di regole spontanee.
In quest’ “oasi di felicità “ collocata nel deserto della cosiddetta vita “seria”, come direbbe Eugen Fink, Maria Luisa Casertano, scopre, con la stessa curiosità di un primitivo, di un bambino o di un esploratore, nuove qualità nella materia, che esplodono ora nelle figure della differenza linguistica: la porosità, che è contemporaneamente passaggio e via di transito, vuoto e pieno; l’increspatura, che alterna il più al meno; la lacerazione, che risarcisce ciò che manca. Nel ductus di sempre, le differenze di oggi giocano un gran ruolo nella creatività di Maria Luisa Casertano.
Ora gli azzurri possono disporsi sulle distese sensibili del presente e fiorire nei prati verdi del futuro, gli impasti di polveri e terre, lubrificati da olio e acqua, compattati da collanti vari, possono riflettere brillantezza di colore e flessibilità delle forme, che rimandano l’opera, il testo, il quadro finito, al pre/testo, al luogo del non ancora apparso, del non raggiunto, fuori dal tempo e dello spazio.
Arcangelo Izzo
“Il Favoloso della Pittura”
Mostra Personale Chiostro San Francesco,
Sorrento 1991
“Datemi un punto fermo , vacillo,
ditemi che esistono ancora le margherite gialle
che guardano il sole dritto negli occhi.
Donatemi certezza con mani candide,
domandatemi se è bello morire con l’ansia di volare”.
Maria Luisa Casertano
"Io credo che un filo
d’erba non sia niente di
meno che la struttura
portante delle stelle”
Walt Whitman
Avvicinarsi alla pittura di Maria Luisa Casertano vuol dire fruire di quella sorta di trasalimento estetico provocato dalla forza pregnante del gesto e del colore. Lei non si fa sradicare ma ci avvolge nel dinamismo prensivo di una pittura d’azione la cui traccia apparentemente aniconica si fa ambiente spaziante, trama di relazioni dove masse e coaguli materici esplorano il magnetismo incondizionato dell’esistenza. Per Maria Luisa Casertano dipingere è necessità del viaggio dalla superficie delle cose fino ai luoghi del profondo. Sulla tela i colori e la luce sentono le note dell’inaccessibile perdita e dell’epifania di forme leggibili solo attraverso l’inconsistenza. Le sue opere, come nuvole, permettono al lettore di disegnare forme in movimento e di cogliere l’invisibile della forma mentis. L’adesione all’arte informale per la Casertano non è mai condivisione di un programma storicizzato ma è assecondare l’incontenibile flusso acquatico che sta dentro a quello che Piero Citati chiama “la malattia dell’infinito”; solo assecondando questo cammino della visione possiamo entrare ed uscire dai suoi grovigli di nervature astrutturali che invadono il campo visivo intriso di dilavamenti lirici . La sua ricerca pittorica fa dell’astrazione espressionista un centro di svelamento di campi energetici la cui spinta centripeta proietta sulla materia la fenomenologia del gesto come sismografia dell’esistenza allo stato puro, esistenza pittorica fatta di sentimenti in cui la Casertano realizza la sua essenza e il suo naufragio. La materia come fondamento dell’esistenza capta la vita, pulsando di una energia stratificata che è cuore del suo mondo. La poetica del gesto muove uno spazio dove le deformazioni dilatative delle immagini fanno emergere l’occhio cieco dell’assoluta visione. Nelle sue opere l’artista, mentre da una parte libera col colore una tensione implosiva verso l’universo delle forme, dall’altra sembra abbandonare tutti i luoghi della tela come una straniera sulla Terra. Attraverso il ritmo ripetuto e ribadito del gesto informale, l’espressionismo, l’action painting, Maria Luisa Casertano arriva a sperimentare che le intuizioni a priori della sensibilità non annientano la consistenza della realtà e per questo un po’ alla volta fa i conti con la propria terrestrità liberata da nuclei materici ascensionali segmentati da pori che talvolta si diluiscono in flutti acquatici dai toni bianco, blu , azzurro o in increspature telluriche rosse, rosa, bianche, ocra, nero, grigio, che ricordano solo in alcuni tratti la scioltezza del gesto e l’ispirazione intuitiva di Afro. Le opere degli anni dall‘80 all’85 dal modulo tematico “Flusso continuo” hanno accenni di presenze e di ombre calligrafico-gestuali. All’interno della tela si intravedono duelli malinconici di macchie aeree, paesaggi diluiti dagli abissi dei sogni e dalle biblioteche del mare. I colori dai toni aritmici scivolano come comete della memoria e del tempo. Tutto è pittura delle tensioni centrifughe e delle frontiere dell’oltre. L’artista si muove, incanta, traccia, sgocciola con una grafia automatica e funambolica che trattiene in sé l’istantaneità del tempo come in alcuni dipinti di Georges Mathieu. Dall’86 al ‘90 il movimento sembra poi arrestarsi in embrioni di forme tridimensionali bloccate, compresse dalla pesantezza di una materia inespressa. Tutto scorre e diviene ancora in restringimenti ed aperture. Negli anni dal ‘90 al ‘97 la materia squarcia le forme bloccate in una sedimentazione di faglie geometriche in equilibrio di arcobaleni in strati monocromi con nuclei compressi e sovrapposti. Dalla pesantezza della materia evaporano e si solidificano porose montagne di ghiaccio, vette innevate che ci riparano dagli spasmi malinconici dell’Universo. Nel discorso pittorico più recente “Percorsi e trasformazioni” emerge la valorizzazione dell’oggetto che vive e si trasforma. Gli equilibri geometrici materici incominciano di nuovo ad aprirsi, altalenando deflagrazioni e coagulazioni di ritmi coloristici forti con rilievi segnici verticali ed orizzontali. Lungo bivi ben marcati di bianco e nero si intersecano colori dai responsi di cielo, di mare, dove l’occhio aereo discende da una nebulosa per focalizzare un po’ alla volta le infinite increspature terrestri. L’opera “Deflagrazione in flowers 2012” con gli incastri e declini verticali di nero, rosso, bianco, giallo, rosa, avvolti intorno a masse materiche nucleari, l’avvicina al linguaggio della pittura americana ed in particolare alla fase astratta di Georgia O’Keeffe il cui stile giunge ad una sintesi armonica tra astrazione ed oggettualità, mentre, nel caso di Maria Luisa, viene a crearsi un’osmosi tra astrazione e non formalizzato. Nell’opera “Musica dell’universo” del 2008 l’equilibrio segnico pittorico è ancora in cammino sulla tela e risuona di blu, bianchi, grigi, che si giustappongono in solchi diversi alla maniera del contrappunto musicale. In questo spartito volatile Maria Luisa Casertano ritrova ancora le sue margherite gialle con la consapevolezza di essere una pittrice creatrice di un qualcosa che somiglia solo a se stessa, al suo sguardo, al suo gesto, e alla cifra più autentica del suo essere donna. Per comprendere questa identità di donna e di artista non dobbiamo dimenticare la sua appartenenza ad una stirpe di artisti: nella sua poetica è ineluttabile la sinergia specchiante con il fratello Gerolamo Casertano. Fratelli accumunati dalla stessa passione, le cui diverse esplicazioni estetiche percorrono un analogo flusso d’anima. Il lirismo geometrico di Gerolamo Casertano è fatto di luoghi dove il mondo risuona con una parabola di segni forieri di cosmo. La mostra “Parabola i segni dell’anima 2010“ ha tracciato l’evoluzione straordinaria dell’artista che solo in un contesto di relazioni, tra ambiente umano, segni e materie, spazio fisico, può restituirne la poeticità alfabetica ed il lirismo del colore. Egli ci trascina nel gioco delle cose come un giocattolo scoppiato da un eccesso d’uso, irriverente ad ogni pretesa di senso per essere solo accordo, armonia lirica tra le estensibili architetture del segno. Il ritratto umano dell’artista è stato tracciato in modo unico dalla penna della scrittrice Anna Correale in un racconto del 2010 a lui dedicato. Il fiume cosmico di Gerolamo, si unisce a quello terrestre di Maria Luisa ed insieme accrescono l’acqua, debordano, a volte scorrono lievi, ma sempre indissolubilmente intrecciati come in un solo filo d’erba. Fratelli, uniti e diversi, attraversati dagli stessi “Echi dal profondo”. Questa iconografia della sospensione e del sogno trae origine dal nonno, Gerolamo Graffigna, pittore ligure, definito in un articolo della cronaca di Savona del 7 Gennaio del 1955 “Il poeta degli affreschi”. L’articolo così descriveva l’artista ed il suo mondo: “[…]ma un tempo queste strade erano tutte sue…le percorreva nelle prime ore del mattino carico di pennelli e di colori”; e poi la vedova di Graffigna, sempre nell’articolo, rivolgendosi al giornalista dice: “La prego, parli del mio pittore e dica che era una bellissima anima”. In quell’articolo sbiadito dal tempo la foto di Graffigna sembra entrare nel presente per “seminare ancora il suo cuore”. È lì, da quegli occhi sospesi dove ci si insinua solo per capire, che vien fuori questa impronta d’anima, alimento della pittura dei fratelli Casertano. Maria Luisa Casertano come il fratello ha dentro questo richiamo assoluto dell’arte che è unicità e fratellanza insieme, unione ed alterità, presente e memoria ma soprattutto anima.
Gilda Luongo (2013)
Il contrappunto dell'Anima:
la polifonia cromatica di Maria Luisa Casertano
Le linee seminali dell’astrazione portano a sempre nuove suscitazioni espressive che si coniugano variamente con l’intenzionalità creativa dell’artista. La sintassi degli idiomi espressivi e compositivi si compiace sempre più di nuove visioni e suscitazioni dell’immaginazione che seducono i ritrai creativi conducendo a nuove interpretazioni, nel gesto, del segno e della forma. E a tali visioni e suscitazioni, vivamente emozionali e di largo respiro espressivo individuano, felici, nell’operato pittorico della napoletana Maria Luisa Casertano che opera da anni su liberi ritmi astratti la cui intrinseca essenza si compendia nella ricerca e suggestione estetica del segno, della forma e, peculiarmente, del colore. Per la Casertano il colore è fonte gratificante di vita ed ella lo usa, quasi le sfuggisse dalle mani come animato da una propria vitalità, con calibrata, ludica perizia espressiva in una pregevole e luminosa raffinatezza negli impasti e negli accostamenti. Le sue forme e masse cromatiche in movimento, di allucinate intensità emotive ed emozionali, si dipanano in equilibrate violenze e valenze per espressive denotate da immediatezza del gesto della definizione degli orditi la cui compiutezza espressiva si compendia in pochi attimi di intenso fervore creativo. Fervore creativo che porta l’inquieta natura dell’artista a cogliere e a fermare compiutamente ed indi a traslare magistralmente, sulle superfici del rito emozionale, dal suo intenso operare, stratificazioni e connessioni di luminose masse cromatiche, accensioni trepidanti di esse, stesure elastiche e sinuose, quasi come se si sviluppassero, in esplosive dilatazioni infinite, aldilà dei bordi dei supporti rituali.
Nella sua “astrazione cromatica“ si individuano, quindi, suscitazioni di scansioni di polifonici, timbrici accordi cromatici, intessuti in un armonico concerto di fusioni e rispondenze, intercalate, sovente, da velature e da pregnanti incursioni di combinazioni materiche, sottilmente granulari, piacevolmente ruvide al tatto, che si amalgamano con il rutilare dei pigmenti. Ѐ a ben dire, l’operato di Maria Luisa Casertano ha acquistato, nel tempo, sempre nuovi risvolti, talché le sue stratificazioni e connessioni di campiture e masse cromatiche in movimento da un iniziale e, intenso e caleidoscopico slancio espressivo, intensamente emozionale, sono passate ad una matura e ragionata che conferisce all’artista note non di plauso e di più profondo e proficuo impegno.
Sabino Manganelli
“L’Astrazione Cromatica”
Mostra Personale Galleria “Arte Spazio 10”
Bologna 1991
Un ritorno all’alba dell’astrattismo questo messaggio lanciato da Maria Luisa Casertano, che fino al 5 febbraio Esporrà la sua produzione più recente presso l’Associazione “Movimento Aperto”, in via Duomo 290|c Prosegue In queste opere,quella fase materica salutata con particolare interesse da critici accreditati come Rosario Pinto, Arcangelo Izzo, Luigi Paolo Finizio, Massimo Bignardi Tommaso Trini, Vitaliano Corbi, Matteo D’Ambrosio. Per la pittrice partenopea,i succitati !addetti ai lavori” hanno speso elogi lontani da ogni formale piaggeria,individuando nel suo stile una molteplicità di coinvolgenti suggestioni e cercando di penetrare il senso più puro di un linguaggio non superficiale, ma intimamente elaborato e sofferto,Per la descrizione di queste tele ,impregnate di un senso profondamente tattile, gli esegeti dell’arte hanno diminuito la distanza professionale e riscopert000 accenti poetici Talvolta apertamente lirici,coniando immagini lucenti e raffinate quasi un atto liberatorio, indotto da quello che sembra un recondito potere maieutico della Casertano, in grado di risvegliare emozioni e riflessioni attraverso la pura forza del colore,Un colore che si fa materia in pulsante divenire, tracciando e incidendo la geografia di superfici che, più che dipinte, sembrano modellate con impianti robusti e densi, con grumi,gruppi e screpolature che declinino in’amplissima gamma cromatica. L’artista dilaga dai toni caldi a quelli freddi, assemblandoli secondo numerose combinazioni possibili: per stridente giustapposizione, per armonioso accostamento, per ariosa alternanza vuoto/pieno. Uno sfruttamento intensivo della tavolozza, svolto sotto un unico comune denominatore:la ricerca dell’effetto psichico de colore attraverso una rete di rimandi sin estetici. Lo spessore vellutato del nero e dell’amaranto, la profumata freschezza del verde e del blu, la presente voluttà del rosa giocano in modo sinfonico con le molteplici abilità percettive dello spettatore. In una tale felicità cromatica, colpisce vie più l’uso del grigio: tono neutro e inconsueto, silenzioso e immobile, la cui contiguità smorza e ribassa anche le zolle più squillanti e variopinte. Espressione probabilmente, di una lacerazione non dissimulata da chi, come la Casertano, profonde il proprio vissuto in una pittura intesa come costante esercizio introspettivo.
Anita Pepe
Maria Luisa Casertano espone all’Associazione “Movimento aperto”
RISPUNTA L’ALBA DELL’ASTRATTISMO
L’azione creativa di Maria Luisa Casertano segue un percorso segnato dalla grande coerenza e dalla volontà di dar corpo ad una rappresentazione delle cose che non ne scandisca il profilo figurale, ma ne fornisca una lettura trasversale. Caratterizzata da ampie campiture di colore, la pittura della Casertano va a collocarsi certamente nella grande famiglia dell’“informale”, ma ritagliandosi un proprio originale statuto che si pone come orientamento metodologico indefettibile che costituisce nel tempo – al di là delle progressioni che la crescita compositiva lascia registrare – l’ancoraggio ai principi fondamentali che stabiliscono la tenuta unitaria dell’opera omnia di un artista. Ciò che si qualifica come coerenza profonda e rifiuto, mitiwaliter emergente, di fughe verso abbrivi effimeri ed estemporanei è quindi frutto di scelte creative molto rigorose che premiano, certamente, non una studiata modalità freddamente cinica nel suo orientamento deterministico, ma una creatività onestamente disponibile alla discussione ed al confronto. E proprio dal confronto col mondo nasce la pittura di Maria Luisa Casertano, ancorata stabilmente alle cose, come abbiamo osservato, eppure distante da esse quel tanto che vale ad assumere una prospettiva, una chiave di lettura che potremmo definire “non autorizzata”. Sul rapporto con le cose, nella pittura della Casertano, giova seguire il pensiero di Tommaso Trini: << … dipinge nell’autonomia di un linguaggio aniconico, privo di riferimenti alle immagini della realtà. Tuttavia, le superfici sono impregnate di senso tattile, come la terracotta e producono una luminosità latente. Le percepiamo come ben reali equivalenze delle cose del mondo>>. Nelle opere della sua più recente produzione c’è una sorta di mestizia compressa e nelle masse che s’articolano nella giustapposizione delle campiture cromatiche si produce una sottile ed intragante istanza dialettica. Guizzi più sottili e filiformi si insinuano serpeggianti tra zolle di colore più larghe e gli ispessimenti della materia pittorica proiettano ombre leggere che creano un effetto di increspatura marina. Queste cose non nascono, evidentemente, dal nulla. Già nel 1991 Arcangelo Izzo osservava che << Maria Luisa Casertano scopre, con la stessa curiosità di un primitivo, di un bambino o di un esploratore, nuove qualità nella materia, che esplodono ora nelle figure della differenza linguistica: la porosità, che è contemporaneamente passaggio e via di transito, vuoto e pieno; l’increspatura, che alterna il più al meno; la lacerazione che risarcisce ciò che manca>>. Una sottolineatura particolare merita, infine, il colore della Casertano: esso è ineffabile, difficile da definire nelle sua qualità distintive. Oltremare e cobalto sono le gamme dei bleu, cinabri rossi più inquietanti, nero di vite i neri: sono queste, però, solo definizioni scolastiche ed accademiche e lasciano inesprimibile la scintillante vivezza dei toni, l’incredibile luminosità delle loro composizioni con altri colori, la diafana trasparenza che conseguono i verdi inaciditi o le terre dalle sottili sfumature azzurrognole. Sono, sostanzialmente, colori pieni di aria, impalpabili, sospesi, come se fossero foglie danzanti in un vortice di vento. Non c’è cangiantismo come effetto studiato di seriche preziosità barocche: non i gialli intensi o i cobalti di Artemisia o di Stanzione nella pittura seicentesca di questa città, ma duttilità cromatiche più spontanee e succose: per rimanere ancora nell’esemplarismo invocato nel cosiddetto “secolo d’oro” napoletano, forse, dovremmo accostarci, più convincentemente, al De Bellis, allo Spinelli per trovare qualcosa che, mutatis mutundis, ci rende possibile comprendere la portata del colore nella pittura della Casertano. E queste temperie, d’altronde, riconduce al Cavallino, alla sua grazia riservata e spontanea che non è mai lenocinio lezioso ed anche in questa relazione ideale, le cose della Casertano hanno molto da dire.
La dimensione materica in lei si scioglie, infatti, in un lirismo struggente e l’esultanza del trionfo cromatico non cela quel sottile disinganno che l’artista avverte come inquietudine profonda dell’essere e come pena sofferta in una intimità silenziosa. Nella foga rumorosa è sovraesposta nell’arte contemporanea e, più in generale, nella vita stessa dei nostri giorni, in cui l’apparire sovrasta l’essere, lo stile di vita e il modus operandi della Casertano segnano una puntuale mozione di controtendenza. La discrezione, la scrupolosa e controllata disciplina artistica fanno del percorso dell’artista qualcosa di molto rigoroso e compiuto: un itinerario di affinamento individuale, una procedura ipercritica di se stessa, un costante perseguimento di un superamento di sé. È, insomma, lo specchiamento di un animo nella sua pittura, lo sciogliersi in un canto luminoso e sereno di un’esperienza umana ricca e complessa, non facile, mai, però, rinunciataria o, a contrariis,ribelle.
Nella pittura – che riflette pedissequamente il percorso umano di quest’artista – si apprezza lo sviluppo organico di un disegno coerente e determinato, la testimonianza della veridicità dell’assunto che l’arte e la vita hanno strette corrispondenze e che l’intendimento delle cose, se è perseguito con la finalità di un accostamento studioso e nutrito di profondo rispetto risulta fecondo e prezioso, tutto, rivendicando nel medesimo tempo identità e specificità entro le proprie cifre parziali e limitate e dinamica ed irreversibile interazione con la costruzione dove tutto si tiene. È qui il segreto dell’arte di Casertano di far parlare il particolare, per quanto possa essere piccolo e parcellizzato, all’intero contesto, materializzato ed immaterializzato, che sembra assorbirsi in metafisica sospensione per porgere orecchio alla parola, alla sillaba, al cenno di ciò che è minore ma che intanto veicola trepidazione e segreti la cui decrittazione arricchisce la vita collettiva. In forza di tali confidenze, ciò che è a scala minima e si muove bacillarmente ed amebicamente acquista la medesima dignità di ciò che è a scala maggiore ed ha movimenti di grande spettacolarità, i ghetti e le separatezze si abbattono, il sogno si implementa di conferme, i silenzi parlano.
Esattamente come ha confidato Melotti, che qui si cita non esornativamente, ma per consonanza di situazioni e di esperienze post-para-surrealiste ad uno dei suoi appunti da carte segrete: “E l’ultimo quartetto di Beethoven è conturbante anche quando nessuno lo suona”.
Rosario Pinto
“La Pittura come Coerenza”
Mostra Personale Galleria “MA”- Movimento Aperto
Napoli 2004
La ricerca creativa di Maria Luisa Casertano, considerata nel suo sviluppo storico – che si dipana lungo un corso d’anni di oltre tre decenni, iscrivendosi nella temperie che caratterizza il periodo dalla fine del decennio dai Settanta ai nostri giorni – impone una seria riflessione sul tema sociale e culturale di fondo che ha modellato tale arco di tempo: a) la caduta verticale degli spessori contenutistici e b) il trionfo di una ‘leggerezza dell’essere’ che è, di fatto, deriva morale. Ci sentiremmo di poter condannare senza appello questi oltre trent’anni di storia del nostro Paese, osservando che sono essi bastati a creare una rottura radicale e profonda del patto sociale, dell’equilibrio tra le classi e della consapevolezza dell’autonormazione delle coscienze.Le arti figurative hanno dato puntuale testimonianza di ciò, orientandosi lungo due registri che possono essere identificati, il primo, purtroppo, come l’accompagnamento asseverativo e giubilante della deriva culturale e, il secondo, a
contrariis, come la sottolineatura di una irrinunciabile identità culturale e morale che non intendeva affatto piegare la fronte a cospetto di un’Italia permeata di ‘pensiero debole’ e – come si è detto con formula accattivante e sintetica – tutta ‘da bere’.
Maria Luisa Casertano si colloca in questa seconda fascia, avendo scelto di mantenere, negli anni della diaspora delle idee, dritta la barra del timone, qualificando la propria ricerca – mai volta al perseguimento di un comodo ed appagante ubi consistam – di una coerenza di sviluppo lungo una linea di continuità che segna l’andamento problematico della interrogazione di sé. Il dopoguerra aveva consegnato alla generazione dei nati in quegli anni il viatico creativo di una radicale rottura degli schemi e le prammatiche ‘informali’ sarebbero state l’alveo ideale di tale abbrivio. Dire ‘informale’ è, però, cosa troppo generica: s’intride e s’intreccia, infatti, l’’informale’ di altri incontri e le risultanze che esso produce sono, di fatto, l’estrinsecazione di un processo ibridativo che muove da una concezione basilare della centralità dell’elemento materico all’interno del processo creativo. Difficile è dare, ad esempio, una definizione storicamente stringente del rilievo ‘stilistico’ della ricerca ‘informale’, presentandosi più agevole e praticabile il riconoscimento di una articolata galassia al cui interno le dinamiche ‘informali’ costituiscono, piuttosto, un additamento ‘categoriale’. Semplificando al massimo, e scendendo anche nel merito, dirigendoci, peraltro, in tal modo, ad un accostamento più ravvicinato all’opera della Casertano, osserveremo, infatti, da una parte prodursi una libera esondazione della materia che dà corpo alle declinazioni ‘nucleari’ e, d’altra parte, ad un tentativo della materia stessa di costringersi entro un reticolo quasi di sapore geometrico, alla ricerca di una perimetrazione più leggibile nella sua configurazione degli aspetti strutturali. Alla scadenza di qualche decennio dagli anni Cinquanta, la generazione che affronta
con generoso entusiasmo l’elaborazione ulteriore di questi fatti avverte, evidentemente, il bisogno di confrontarsi con la storia (per quanto recente) dei linguaggi ‘informali’ e di individuare un proprio percorso. Maria Luisa Casertano alimenta con tali producenti interrogativi il cammino che la conduce fino alle cose che oggi produce, lungo un sentiero di onesto tormento della
coscienza, ove, non cedendo mai alle lusinghe delle chimere ‘post-moderne’, con coerenza, naviga – talvolta di bolina – muovendosi tra perigliosi flutti, tra esigenza liberatoria ed istanza regolatrice dei telai compositivi. Detta in formula, potrebbe così essere formulata una ipotesi di inquadramento asciuttamente stilistico: l’equilibrio instabile e periclitante, nella nostra artista, tra istanze di libertà della materia, da una parte, e categorializzazione procedurale, dall’altra. Ciò vuol dire, in via pratica, che la linea ‘informale’ – di volta in volta con una relativa prevalenza caratterizzante ed imprimente – o si arricchisce di effusioni debordanti di flusso materico o si irregimenta entro parametrazioni controllate e puntuali. Intervenendo sulla personalità della Casertano, in altre occasioni di studio, non abbiamo esitato – per tutte le ragioni che abbiamo cercato sinteticamente di esporre – ad iscrivere la sua figura sia tra quanti hanno dato un senso alla pratica neo-nucleare, sia tra quanti hanno arato il fertile campo di quella temperie particolare che può ben essere intesa come delibazione ‘astratto-informale’.
Non sono Scilla e Cariddi, questi due estremi, ma le polarità entro cui si articola, a nostro sommesso giudizio, tutto il percorso e, forse, tutta la stessa vita di Maria Luisa Casertano, impreziosendone la facies caratteriale e connotandone il dispiegamento del
suo essere nel mondo.
Rosario Pinto
Maria Luisa Casertano
nel complesso rapporto con la dimensione materica e nell’articolazione
vibratile d’una ricerca ‘categorialmente’ più che ‘stilisticamente’ informale
Maria Luisa è un’autodidatta, dispone cioè di ingenuità e di genuinità, di istinto e di creatività, che purtroppo si cercano quasi inutilmente presso i personaggi costruiti su misura e in serie nell’ambito dell’organizzazione (di etimo
Capitalistico e non capitalistico). E mentre attraverso la pittura, si viene districando dall’unidimensionalità e dalla serialità, attraverso la riappropriazione del gesto e del colore, Maria Luisa Casertano rivendica il diritto ad un’identità,
che non le consentirebbe l’iconografia delle consuetudini quotidiane, protesa a liberare energie e fantasia, Maria Luisa Casertano non si ferma imbarazzata sul limite della foresta tropicale della cromaticità: entusiasta, si tuffa tra la vegetazione e va avanti, attraversando qua un tunnel di infuocate vibrazioni di colori, là godendo di un suggestivo spettacolo di interazioni tra figura e macchie cromatiche, là ancora divertendosi a completare il giuoco delle ombre che si fanno forme e consistenze.
Entro questa densa foresta, la Casertano impazzisce di riflessi e di contaminazioni, come forse doveva accadere ai nostri antichi progenitori tanti millenni fa, e come di tanto in tanto si è cominciato a indovinare in pittura soprattutto
sul versante che va da Gauguin ai Fauves e a Rousseau il Doganiere.
Solo che alla sensibilità di Maria Luisa Casertano è applicato un filtro di morbidezza, che rende il paesaggio delle ombre, dei barbagli, dei riflessi, morbidamente vellutato, anzi delicato e palpabile.
Questa qualità si distende omogenea sui monotipi su vetro, dove il processo metamorfico del colore si apre si dilaga dolcemente e mollemente fluido, come espandendo la propria pelle freschissima.
La vicenda si viene componendo e realizzando non orizzontalmente, né verticalmente, ma come per non affiorare in superficie di una umorosa intensità di situazioni che si formano lontano, in zone misteriose.
Ѐ come se Maria Luisa Casertano tenesse l’orecchio incollato sulla pelle della terra, per sentire affiorare di sotto acque freschissime, battere contro il guscio i germi di erbe e di piante, di muschi e di licheni, perché, da quest’altra parte, sotto la luce noi altri semplicemente registriamo le avventure delle cose, il loro trapassare alla vista, il loro farsi variegato tatuaggio della natura.
In questa maniera, con un approccio immediato, Maria Luisa Casertano prende possesso della via, del vedere, del sentire, del dire.
Ugo Piscopo
Mostra Personale Studio Ganzerli
Napoli 1984
Chi scrive, avendo portato Maria Luisa Casertano al fonte battesimale di artista in occasione della sua prima personale, come già era accaduto per Claudio Carrino e per il fratello Gerolamo, può e deve registrare gli acquisti, gli approfondimenti, in breve il cammino compiuto ulteriormente fino a oggi. Dove si configura una vicenda di maturazione e di irrobustimento di mestiere, interamente disposto sull’asse della fedeltà a un postinformale assunto non a valore metastorico e metafisico, né a spazio abitativo confortevole, una specie di nicchia familiare, per tutta la durata almeno per buona parte della stessa, ma a bordo di confronto e di partenza o, meglio ,a banco di prova per definire un’avventura integrale, una lunga, notturna, spossante lotta con l’angelo di biblica memoria. Perché lungo tutto quest’arco di tempo, l’artista sul registro del postinformale ha provato e riprovato innanzitutto a sé, quindi agli altri, che l’arte ha senso e induce lievitazione dell’immaginario e nello stesso comportamento sociale, non in quanto mito e rito ontologicamente fondati e strumentalmente adoperati a consolidare menzogne, né in quanto luogo di scambio per contenutismi moralistici, ideologici, didattici, mnemonici e aneddotici, ma come scommessa totale, che si rinnova di giorno in giorno, di momento in momento, al tavolo di una mimesi astratta, che chiama la mente ad un agonismo e a una performatività autenticamente analitica, inquisitrice costruttrice di situazioni altre. Sul filo di questa
tensione agonica, l’occhio si è fatto sempre meglio esperto, fino alla preziosità, delle collaborazioni che si possono chiedere e talora si possono ricevere, anche senza chiederle, alla granulosità della materia, all’inebriamento delle superfici, agli accostamenti fra loro di pareti dalle accensioni e dalle tinibricità cromatiche diverse ma dialettizzabili in processi dinamici e spaziali, suggeriti dall’acuminata intelligenza del caso. E tutto questo all’interno di un bacino vasto, senza inizio e senza fine, dell’opera aperta, all’interno del quale quello che conta non è la somma dei gesti, ma l’estendere, anzi il gettare il gesto oltre l’occasione del momento.
Ugo Piscopo
Katambra Maschio Angioino
Napoli 2008
Il piacere del colore, la seduzione dell’informale, il fascino di violenti contrasti cromatici in lavori di indubbio impatto visivo. Prosegue al Ma- Movimento Aperto, la Galleria di Ilia Tufano in via Duomo 240 /c (piazza Filangieri), la personale di Maria Luisa Casertano. In mostra dodici lavori (olio su tela),di diverse dimensioni, attraverso i quali l’artista napoletana indaga le relazioni tra colore e materia. Una materia che per Maria Luisa Casertano “ è in un continuo divenire di realtà e memoria, trasformandosi e modellandosi nel tempo agli eventi come lo spirito a fluire dei moti dell’essere”. Sono strani paesaggi mentali questi quadri vivaci, in caotico movimento. E la mano dell’artista prova a dare ordine al vortice di sensazioni che si rincorrono sulla tela, a dare una regola ai colori magmatici. Una pittura aspra e materica, realizzata mischiando oli e terre, che si dipana in flussi di colore che costituiscono opere caratterizzate da spontaneità, energia, istinto cromatico,”Caratterizzata da ampie campiture di colore – scrive Rosario Pinto nel testo di presentazione – la pittura di Maria Luisa Casertano va a collocarsi certamente nella grande famiglia dell’informale, ma ritagliandosi un proprio originale statuto che si pone come orientamento metodologico indefettibile”. L’esposizione sarà visibile fino al 5 Febbraio.
Tiziana Tricarico
Mostra Personale Galleria “MA”- Movimento Aperto
dal Quotidiano "il Mattino" - Napoli 2004
La Casertano dipinge come se fosse al primo giorno dell'astrazione. E la forza che la sua opera emana con ammirevole calma, conosce la seduzione che subito le consente di coinvolgere anche noi in quell'alba, nel suo orizzonte primigenio. Non dirò, come nel prologo a Faust che qui "risuona il Sole al modo antico nel coro fraterno dell'emule sfere", ma certo l'opera della pittrice di Napoli addensa molte energie e risonanze.
Che essa sia dotata di "evidenza visiva", “esplosiva tensione intima", "vibrante e gioiosa pienezza del colore", "un pulsare vitale di accensioni cromatiche", lo hanno detto già le numerose letture critiche che mi hanno preceduto. E tuttavia testimonio come al primo sguardo — vedendoli io per la prima volta — i dipinti di Maria Luisa Casertano abbiano irradiato ancora una volta la loro forza e determinazione, preservate nel tempo.
Posseggono la forza dell'apparizione. È questa che distingue la buona arte visiva da quella cattiva, ben più che l'immediato riscontro di qualche novità appariscente, come lo sono molte astuzie formali, che spesso si rivelano già consunte e assai deludenti. E non si tratta solo di un forte impatto visivo, puramente ottico. L'apparizione che ci conquista, soffermando il nostro sguardo selezionatore in un dialogo con l'oggetto desiderato, procede dall'associazione mentale e dall'intesa simbolica molto più che dagli stimoli ottici. II potere di un fenomeno che si manifesta in modo ineluttabile e chiaro ai nostri sensi in corrispondenza dei nostri bisogni interiori anche latenti, consiste essenzialmente nell’espandere la coscienza della nostra presenza in noi stessi. L'immagine si presenta allora come veicolo delle nostre percezioni che contribuisce ad espandere. Nell'apparizione, che è sempre speculare come tutte le immagini, siamo noi che appariamo. Questa compresenza, in una persona è il carisma, in un oggetto si chiama arte.
Così la pittura recente della Casertano agisce sul nostro sguardo per contenerlo, similmente ad un vaso. Proverò a descriverla. La descrizione di un oggetto d'arte —frequente tra gli artisti e i critici delle passate avanguardie, ma oggi purtroppo in disuso — risulta utile anche quando si rivela improbabile, come nel caso di un dipinto astratto. Si danno descrizioni diverse dello stesso oggetto secondo il variare degli interpreti e delle epoche. Questa pratica della relatività ci ricorda che un'opera non è mai un apparato fisso di significati, bensì la struttura mobile di un processo di significazione che si arricchisce.
La Casertano dipinge dunque nell'autonomia di un linguaggio aniconico, privo di riferimenti alle immagini della realtà. Tuttavia, le superfici sono impregnate di senso tattile, come la terracotta, e producono una luminosità latente. Le percepiamo come ben reali equivalenze delle cose del mondo. Sono intessute di macchie di colori, qui trasparenti e là opache o terrose, che tendono ora allo stato liquido ora allo stato solido. Benché astratte, le macchie non sono informi giacché si ordinano in una struttura organica prossima a quella delle cellule viventi; e, come questa, vivono in una palpabile sospensione. Le forme organiche formano piani diversi sopra un fondo oscurato da grigi, da neri. L'espansione orizzontale delle forme si articola con la stratificazione verticale della loro materia entro uno spazio colloidale. Allo sguardo libero da categorie prestabilite, si presenterà in definitiva un universo di scaglie di energia, sospese entro un vaso senza fondo, dove la luce dialoga col buio, l'esterno con l'interno e l'aria con i colori liquidi.
Non conosco la pittura di figure con cui Maria Luisa Casertano ha aperto anni fa la sua produzione. Posso però immaginare la dovizia di fluidità figurale e di energia emotiva che animavano, non ne dubito, la sua figura iniziale. Posso dedurla dai cicli sempre più astratti che poi sono seguiti, con uno scarto verso un'alta tensione espressiva, a quel primo approccio prospettico e narrativo. La sua astrazione è nata come da una prolungata esplosione: una rottura di acque. Ha proiettato nel vuoto masse trasparenti di colori, striate da filamenti lattiginosi; non c'era spazio, ma solo tempo, il tempo instabile delle metamorfosi. Quei quadri mostravano letteralmente la scena di una epifania della materia che cambiava forma: ogni quadro, uno stadio di materia in sospensione.
In particolare, le forme in movimento dei primi anni Ottanta trattenevano ancora alcuni frammenti figurali di una sorta di organismo corporale e linfatico, parecchio turbolento, cui era impresso un moto, ora lento ora dirompente, di trasformazione. Mi hanno ricordato la tensione dei corpi deflagrati di Arshile Gorky dei primi anni '40. Anche Casertano sa fare defluire il tutto in un particolare grazie all'empatia che suscita in noi spettatori.
Né saprei motivare le ragioni, certamente molto personali, che hanno indotto l'artista a tralasciare il piano della rappresentazione figurativa per inoltrarsi, a un dato punto del suo cammino, nella selva dei linguaggi aniconici che storicamente formano l'astrattismo moderno. In questo passaggio, la Casertano avrà ricercato, e sicuramente conseguito, un più alto grado di maturità nel personale processo di individuazione psichica. Non si dovrà però arguire che per ciò stesso lei sia passata dalla tradizione all'avanguardia o abbia fatto un salto. L'astrazione e la figurazione sono oggi complementari e cicliche.
Non al superato dilemma se sia meglio raffigurare o non rappresentare, bisogna porre attenzione oggi, ma piuttosto all'evidenza che la Casertano lavora in sintonia con il recupero attuale dei linguaggi astratti, sia geometrici che organici, da parte delle nuove generazioni di artisti; ma piuttosto al fatto, questo sì interessante, che un crescente numero di pittori, anche autodidatti, cominciano ad operare direttamente con l'astrattismo. Perché? Per la buona ragione, io ritengo, che si è diffusa la consapevolezza che dipingere vuol dire esplorare la natura dell'arte e non imitare le apparenze del mondo con i virtuosismi delle tecniche pittoriche. Con il pittore, anche chi guarda ha appreso a ricostruire le immagini — come sono fatte, le relazioni tra loro — in una sorta di regia mentale.
Vi sono proprietà pittoriche — ad esempio, la restituzione della luce, la volontà di potenza del segno, l'autocontrollo dell'azione di dipingere — che diresti prerogativa dei molti linguaggi genericamente noti come Informali o Espressionisti astratti. E invece, ti rendi conto che essi risalgono direttamente alla persona e all'immaginario dell'artista, cioè al suo destino. Come non cogliere la dominante dell'elemento fuoco nel simbolismo di segno tellurico, per dirne uno, in cui eccelle la Casertano con magma di colori e scorie di materia? È evidente che la pittrice non dipende tanto dall'intesa intellettuale coi più abusati stereotipi dell'Informale storico - il gesto, la materia e il segno - quanta invece dall'urgenza liberatoria delle sue pulsioni immaginative: sulla tela, lei calma l'informe.
L'azione gestuale, l'esibizione del segno e la ipersensibilità luminosa, le diresti qualità innate dell'artista. Ma è più probabile che esse si sviluppino nel campo dell'interazione che l'artista stabilisce con la sua pittura non appena scopre che i suoi dipinti gli insegnano l'arte e lo guidano, quando si riconosce in quel doppio di sé che è l'opera. Fin dagli inizi, l'artista e l'opera concrescono insieme grazie a un reciproco imprinting. Nell'arte della Casertano si avverte il disegno di materializzare sul piano pittorico — un piano non più limitato da due dimensioni, bensì riaperto a tutte le dimensioni fisiche e spirituali che si agitano in noi — la sua visione animata e animatrice col minimo di artifizi e il massimo di verità. È questa riapertura che fa della sua opera un vaso dell'anima.
L'empatia con cui ci consente di essere comunicanti, noi pure, con quel vaso di qualità spirituali, e l'energia capace di rigenerarsi di quadro in quadro, di ciclo in ciclo, sono le doti solari della Casertano e costituiscono le radici remote del suo lavoro, la cui forza creatrice risulta, non solo autentica, ma anche profonda nelle risonanze interiori. Già Vitaliano Corbi ha ben colto i nessi che fanno risalire l'animazione spirituale della pittrice alla cultura dell'Einfuhlung e alla matrice organicista di Kandinskij. E ha scritto che: "Le immagini della Casertano si direbbero direttamente suscitate dall'energia del ductus, da una spinta, anzi, non impressa dall'esterno, ma proveniente dall'interno del colore, dal suo avanzare, sul piano del quadro, come animato da una sua propria vitalità". Ciò è vero in quanto riconosciamo all'arte aniconica di esprimere solo se stessa.
Ma ciò non è più sufficiente neppure sul piano storico. L'arte vuole adesso rivolgere la sua autosufficienza, da lungo tempo acquisita, a una nuova funzione eteronoma, per dire altro, al di fuori della propria espressività. La Casertano non è mai stata veramente autodidatta, benché si sia dichiarata tale. Non avrà appreso a disegnare e colorare in una scuola, ma certo ha saputo guardare il mondo e le altre pitture con gli occhi di una vocazione prepotente. Poiché è lo sguardo che fa il pittore, sia pur connesso con tutte le sue facoltà psichiche e intellettive, poco importa come prepari il suo talento esecutivo. Chi si è riconosciuto artista attraverso l'esercizio primario dello sguardo, ha acquisito l'idea che l'arte si realizza meglio nel campo psichico delle relazioni interpersonali, nel campo creato tra persone diverse, o tra le relazioni interne di un unico individuo.
Come le libere forme cromatiche tendono qui ad aggregarsi in insiemi significanti, così il loro moto sospeso entro uno spazio di relazioni invisibili e non quantificabili -ovvero il "vaso dell'anima" della mia metafora prescientifica- allude alla volontà di riunire nell'interezza di un'identità complessa le relazioni sparse e le parti scisse di un individuo. Emergono da questa pittura grandi capacita di introspezione e una sensualità materica che chiamerei le doti lunari della Casertano. Sono evidenti nel sottile gioco di armonie e di contrasti tra i valori cromatici, come pure nella straordinaria plasticità delle forme. È in opere come queste, indenni da psicologismi, che la carne è l'anima del dipingere.
In un testo recente, osservando la texture di questi dipinti - ora addensate e corrugate come la pelle delle cose che trattengono lo sguardo, ora velate e trasparenti come lo sguardo che oltrepassa lo scrutinio delle cose - Arcangelo Izzo ha così ben descritto le nuove qualità che la Casertano va da tempo esplorando nella materia: "la porosità che è contemporaneamente passaggio e via di transito, vuoto e pieno; l'increspatura, che alterna il più al meno; la lacerazione, che risarcisce ciò che manca". Parrebbe la descrizione di uno scultore o di un vasaio. L'artista ha lavorato in effetti con la creta e il forno. Ha dimostrato quanto sia intenzionata ad andare oltre l'autonomia linguistica e espressiva della pittura aniconica: per “risarcire ciò che manca" alla mera autonomia.
Tommaso Trini
Il Vaso dell’Anima
“Le Immense Opere Incomprensibili splendono come nel primo giorno” J. W. Goethe-
Mostra Personale Galleria San Fedele Milano - 1992
Il colore, esorbitante nella sua carica contenutistica, accende la tela.
Lo spazio viene conquistato , progressivamente, con la stesura di toni forti che si misurano in un equilibrio surreale. La ricca trama pittorica corrisponde all’esplosiva tensione intima della pittrice.
Un animo pervaso da mille sensazioni, da mille richiami trova corale ed amplificata certezza espressiva sulla tela.
La tela si ribalta non come specchio della natura circostante ma come riflesso terapeutico e gratificante del proprio mobilissimo mondo intimo.
Dipingere per Maria Luisa Casertano è uscire allo scoperto. Nel tradurre i propri segreti, i propri sogni, la propria angoscia, la propria quotidiana esistenza sulle tele la pittrice trae spunto per vivere un domani conoscendo meglio il suo passato e i suoi frutti dell’inconscio.
Gli acquerelli, decisi e netti, propongono un’impronta.
Ѐ raggiunto con le sfumature del colore un “segno” di distinta ed equilibrata decifrazione.
Gli oli con i paesaggi si aprono agli occhi con intenzioni più sollecitanti.
Una carica emozionale, non trascurabile, si appropria della tela,la copre di stesure significative.
Immaginare il paesaggio è facile per Maria Luisa Casertano quanto dimenticare il dato,reale e oggettivo.
Il volto, non raro compare in una difficoltà di rapporto.
Non rientra nel rapporto con le cose della natura, tra i risvolti del paesaggio.
I volti, tirati, gelidi non comunicativi, persi nel vuoto gridano tutta la loro impotenza di ritrovarsi a dialogare con la natura, ripresa, costantemente, con una ricca emulsione di colori.
Una sovrabbondanza di colore cerca di “fissare” un irrefrenabile, insopprimibile necessità di comunicare i propri moti, i “passi” dell’intimo.
Nel paesaggio, vario e composto, Maria Luisa Casertano ripassa il suo intimo.
II colore, i più colori, avidamente ricercati, la liberano, le permettono di studiarsi, di ricercare, di vivere.
Maurizio Vitiello
“Colori per una ricerca”
Expo Arte - Bari 1980